lunedì 15 agosto 2011

AVE MARY



Non ho il piacere di conoscerti, ma mi permetto di darti ugualmente del tu, per esprimerti con più immediatezza e calore la mia gioia di aver letto il tuo libro. Sapere che i lettori leggono con gioia i tuoi libri, credo sia gratificante. Perciò mi perdonerai la libertà che mi sono presa. Quando sono andato per acquistarlo, con mia grande sorpresa, ho saputo che ce n’ era ancora una copia, in un locale a parte, custodita sotto chiave. Ho pensato che era un libro prezioso, se era custodito sotto chiave e sotto tanti aspetti lo è, perché difende le donne e dal nemico peggiore e subdolo, il sacralismo, astuto come il serpente che tenta Eva nell’ Eden, ma il motivo era che tutti i libri Einaudi e Adelphi, da tre anni, venivano sistematicamente rubati da una banda di extracomunitari che poi li rivendevano sulle spiagge del Centro Sud. Niente mi è nuovo delle problematiche da te trattate, ma il tuo coraggio, un po’ provocatorio, un po’ giovanile, un po’ utopistico, un po’ da studiosa che giustamente spera, merita di essere accolto con piacere. Pertanto, posso esclamare: brava, Michela Murgia, che, con la tua penetrante intelligenza e la tua informazione-formazione religiosa e teologica, hai avuto il coraggio di affrontare il maschilismo dei patriarchi di ogni specie, sacri e profani, antichi e attuali.

Sarei presuntuoso e offenderei i tuoi lettori, se volessi spiegare chi sei e che sei l’ autrice del bestseller Accabadora, Vincitore Premio Campiello Letteratura 2010. Dico subito invece che il titolo AVE MARY rivela già molto della chiave di scrittura del tuo piacevole e brillante “ saggio ”, dallo stile fortemente argomentativo e bello. Saggio tra virgolette, perché un saggio specie quando entra nei territori del sacro, necessiterebbe di altro excursus e approfondimento. Un titolo tra latino italianizzato antico e inglese. Insomma un titolo desacralizzante, che abrade le incrostazioni del sacro che portano sicuramente conseguenze negative, un restyling che mentre restituisce la figura di Maria ( la Madonna, se qualcuno non lo avesse ancora pensato ), allo stesso tempo vuole impedire che sia ancora strumentale ai fini della subalternità e sottomissione della donna. E poi un titolo di salvaguardia dal vespaio che potrebbe eccitare. Giusto. Mary non è Maria. Un titolo ad effetto, alquanto ilare e che mette al riparo. Ancora più ad effetto e pubblicitario il sottotitolo E la Chiesa inventò la donna, infatti, ammetti ( p. 158 ) che questa invenzione di subordinazione tra i sessi esisteva già prima della Chiesa. La Chiesa, volontariamente o involontariamente, l’ ha legittimata.

Ho detto convintamente ‘ brava, Michela Murgia ’, ma qualcuna delle tante amichevoli puntualizzazioni che ho in mente, la esterno, senza voler togliere nulla al merito e al pregio del libro. Una certa puntigliosa enfatizzazione o amplificazione delle responsabilità storiche c’ è nel tuo “ saggio ”, forse più proprie del femminismo e della desacralizzazione anni settanta che del tuo pensiero; qualche semplificazione o sommarietà ermeneutica pure, soprattutto dell’ archetipo Efesini 5, 21-33, a proposito del quale vorrei chiederti se credi davvero all’ efficacia negativa di così vasta portata. Lo stereotipo di sposo - sposa che ne deriva, quando sopravvive, oggi è più sociale che ecclesiale e si combatte con le leggi. Nella più che legittima preoccupazione primaria di abbattere la subalternità, la subordinazione della donna, non sempre appare chiara la metodologia con cui leggi o ricostruisci la storia. A volte dai l’ impressione che la ricostruisci con la sensibilità e la cultura di oggi. Questo può essere utile a proporre il libro al pubblico, ma non giova all’ indagine storica. Ciò chiarisce anche perché ho scritto saggio tra virgolette. Il sacro, nella tua lettura, non è solo desacralizzato e concordo, ma è letto per lo più in chiave sociologica e dissento, perché per un credente è la fede la chiave di lettura, la quale esclude certo subordinazioni di ogni tipo. Le figure di Santa Maria del Consenso, La sovversiva, sono più sociologiche che teologiche, appartengono più alla cultura e sensibilità di oggi che al piano della fede. Lo stereotipo della Madonnina senza bambino non è solo di oggi, storia dell’ arte docet. I tuoi accenni a santa Maria Goretti, per esempio, sono più in linea con Povera santa, Povero assassino di Giordano Bruno Guerri che con la fede. La lettura sociologica porta al riduzionismo inaccettabile di figure di statura indiscutibile, una per tutte madre Teresa di Calcutta.

Non voglio continuare. A parte queste brevi osservazioni, per le quali spero non me ne voglia, mi sento di dire, a ragion veduta, che condivido molto del tuo libro. Sottoscrivo tanto delle tue disamine storiche, bibliche, patristiche, magisteriali, iconografiche, devozionali. Per cui al termine di questa nota personale a margine della lettura della tua opera, voglio ancora manifestarti il mio plauso. Hai scritto un libro che fa pensare e auguro contribuisca a migliorare la situazione-donna. Fai bene a non abbandonare la speranza, anche se la tua è una spes contra spem, che condivido, dal momento che alcuni passi, spesso, purtroppo, più di forma che di sostanza, sono stati compiuti dall’ 11 ottobre 1962 ad oggi e questo fa sperare, ma non abbastanza, perché il potere, la struttura patriarcale si trasformano e poco e lentissimamente cambiano.


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