martedì 18 settembre 2012

L' altra montagna





Oreste Forno, nato a Berbenno di Valtellina nel 1951, è noto al pubblico per le sue esperienze alpinistiche sulle grandi montagne degli oltre 8000 della terra e per gli scritti che le hanno raccontate.
Scialpinista, fotografo, giornalista, pubblicista e socio accademico del Gruppo Italiano Scrittori di Montagna (GISM), Forno scrive attualmente su giornali e riviste specializzate del settore e tiene conferenze sull' alpinismo e la montagna.
Tra i suoi libri ( oltre una quindicina ) figurano: Sci oltre la pista ( Hoepli ), Sherpa conquistatori senza gloria ( Dall' Oglio ), Italia in un sentiero ( Hoepli ), Battistino Bonali, Grazie Montagna ( Grafica Sovico ), Lacrime sopra la neve ( Mountain Promotion ), Fiori di Ciliegio ( Bellavite Editore 2010 ), L’ altra montagna ( Bellavite Editore 2011 ).

Non sono uno specialista conoscitore dei libri di montagna, tuttavia, scorrendo cataloghi di titoli dedicati all’ argomento, non mi è capitato di vedere opere con il taglio particolare di quella di Forno. Già il titolo e soprattutto il sottotitolo e la dedica dicono proprio che si tratta di una novità nella letteratura di montagna.

Titolo: L’ altra montagna, non la montagna.

Sottotitolo: Quella che porta più in alto delle cime. Ora è tutto chiaro.

Dedica del libro: Alla montagna, che mi ha fatto toccare il cielo. Adesso è ancora più esplicito.

Quel ragazzino, un po’ ribaldo monello dalle mille risorse, che in Fiori di ciliegio era fedele a casa e chiesa non esiste più. Prima il lavoro all’ IBM Italia e poi all’ IBM Stati Uniti d’ America lo porteranno molto lontano non solo geograficamente ma anche spiritualmente, perso nel turbinio delle grandi opportunità di carriera da nuovo mondo, è il caso di dire, nelle molteplici occasioni più favorevoli e allettanti della vita. Ma viene il momento che la vita fa riflettere, che rende prevalente la consapevolezza sul vuoto e l’ insignificanza della propria situazione e, un po’ da figliol prodigo evangelico, decide per il ritorno in Italia. La grande passione di sempre per la montagna diventa una chiamata. La montagna lo chiama e lo chiama sempre più frequentemente e irresistibilmente fino a scoprire l’ altra montagna, quella che porta più in alto delle cime e fa toccare il cielo. Questa scoperta è solo un’ esperienza e una novità personale, perché la montagna fin dall’ antichità e presso tutte le culture è sempre stata il luogo della divinità, dove si poteva e ci si poteva incontrare con la divinità. La montagna era la santa montagna, quella che per Forno è l’ altra montagna.

Del libro di Forno sono state fatte tante pregevoli recensioni. Qualche giornale a tiratura nazionale vi ha dedicato pagine intere. Non è il caso che ne scriva una anch’ io, per altro, sono convinto, meno bella. Preferisco piuttosto esprimere qualche riflessione storico-speculativa su quella Bellezza, con la maiuscola, che lo ha portato più in alto delle cime e fare l’ affermazione che Dio è Bellezza e che la Bellezza è Dio, riassumendovi tutto il mio discorso.
Sulla prima affermazione nessuno può avere dubbi. Anche il non credente, se per un momento provasse ad ammettere l' esistenza di Dio, non potrebbe fare a meno di dire che Dio è bellezza, perché se così non fosse, vorrebbe dire che, per lo meno, gli manca un attributo e mancandogli anche un solo attributo, non sarebbe Dio. Sarebbe magari un essere più grande e più bello di altri, ma pur sempre finito e limitato da ciò che gli manca. Per definizione Dio è Dio se e soltanto se possiede tutti gli attributi e al grado sommo, infinito.

Riguardo alla seconda affermazione, " La bellezza è Dio ", chissà quanti si spaventerebbero a porla, frenati dall' idea di panteismo che è la prima cosa che viene alla mente e poi anche dal fatto che la bellezza che si vede nel creato e quella che l' uomo stesso crea è limitata. Direbbero subito che l'affermazione " Dio è bellezza " è vera, ma non può essere vero il suo rovesciamento. Per cui spesso si sente dire, si legge, si scrive solamente che " La bellezza canta Dio ". Questa frase, vera, è una versione moderna dei versetti 1-2 del salmo 19: " I cicli narrano la gloria di Dio e l' opera delle sue mani dichiara il firmamento ".
Per lo più, nel parlare comune, non si va oltre questa affermazione laudativa, non si riflette sulla bellezza. Non ci si chiede se l' affermazione “ La bellezza canta Dio ” sia sufficiente o riduttiva. Non si prende coscienza della reale portata estetica, etica di questa lode. La riflessione dei filosofi e dei teologi scolastici medioevali andava oltre l' affermazione che la bellezza canta Dio ed enunciavano il principio metafisico Ens et Pulchrum convertuntur, vale a dire L'Ente ( = Dio ) e il Bello sono la stessa cosa. Affermavano anche Bonum est diffusivum sui ( =  il Bene si diffonde al di fuori di sé ). Bonum è parola polivalente, che, come nella Bibbia, vuol dire sia bene che buono, bello, giusto, proporzionato, piacevole, utile, armonioso, senza difetti. La propria pienezza di Bene-Bello Dio la diffonde, per creazione, senza esserne necessitato, al di fuori di sé. Non può contenere solo in sé questa pienezza di Bene-Bello. Per amore e felicità la comunica. Contenerla sarebbe una limitazione e quindi una negazione del proprio infinito, del proprio essere Dio. A sua immagine e somiglianza anche una creatura felice, non può non comunicare all' esterno la propria felicità.
Dio è fonte del bello, della bellezza. I filosofi e i teologi scolastici medioevali non erano certo persone panteiste ( cioè che ritenevano che tutto fosse Dio ). Erano ben saldi sulla distinzione tra Dio e il creato. Il Bello della natura e anche il Bello prodotto dalle capacità date all' uomo da Dio hanno la loro scaturigine in Dio. Anche in questo caso l' Ente e il Bello, la Bellezza come origine sono la stessa cosa. Il creato e ogni suo elemento, per definizione non sono Dio, ma il suo imprint di bello è Dio. Il Bello in concreto, come esiste nell' uomo e nelle sue opere, in tutte le realtà concrete della natura, è sempre imprint di Dio, anche se l'uomo e le sue opere e tutte le realtà della natura non sono Dio, perché limitate, finite, mancanti di tutti quegli attributi che fanno sì che un dato essere sia Dio. Il bello, la bellezza, ogni espressione sono il sigillo, l' impronta di Dio. Pertanto dire che "La bellezza canta Dio" è affermazione vera, ma riduttiva.
Nella Bibbia buono, bene e bello appaiono collegati strettamente e non potrebbe essere diversamente, dato che la fonte è unica: Dio. Il vocabolo ebraico tob, tanto usato nel testo masoretico della Bibbia, vuol dire sia buono come aggettivo sia bene come sostantivo e sia ancora bello. Nella traduzione dei Settanta ( LXX ) tob è tradotto sia con agathòs = buono sia con kalòs = bello. Chi non ha presente che Gesù, il Buon Pastore, nel greco dei Settanta è " il Pastore Bello" ( Gv 10, 11 e 14: bello nel senso di unico, incomparabile, vero, giusto )? Nel greco dei Settanta ( LXX ) e del Nuovo Testamento kalòs è adoperato per qualificare i comportamenti dell' uomo. Le sue opere buone sono qualificate come belle.
Tanto per restare nel discorso della strettissima connessione biblica tra buono, bene, bello e bellezza, come non ricordare che quanto Dio compiva alla fine dei sei giorni, era visto come buono: " E Dio vide che era buono ( Gn 1, 4, 12, 18, 21, 25 ). Addirittura alla fine del sesto giorno è detto: " Dio vide tutto quello che aveva fatto, ed ecco, era molto buono " ( Gn 1, 31 ). Ciò che Dio crea è buono e bello perché realizza perfettamente il suo disegno.  L' etica e l' estetica appaiono inscindibili e non è possibile che sia diversamente perché la fonte è unica e la fonte è Dio. Il bello è anche morale. Non per niente gli uomini del Medioevo dicevano: " Ama la musica e non farai il male ". La bellezza della musica e di ogni altra arte e persona e cosa bella non possono non allontanare dal male, da progetti di male. Il bello dell' universo, la sua armonia, l' ordine, la proporzione ( che i Greci chiamano cosmo e che poi i traduttori greci introducono anche nella Bibbia ), l' uomo può viverli nella propria vita. L'estetica di Dio diventa così etica dell' uomo, l' arte cosmica di Dio diventa vita morale dell' uomo. Questo non è senza conseguenze pratiche. La bellezza restringe il campo del male, tanto spesso allargato da una visione manichea della vita e della storia. Amare il bello, la bellezza, qualunque espressione di bellezza, con amore che non sia dis-ordine, non può essere male. Questo è anche il senso dell' affermazione di Sant' Agostino " Ama e fa quello che vuoi ". Chi ama Dio, il bello di Dio, senza dis-ordine, può fare quello che vuole. Da tutto quello che vuole escluderà sempre ciò che è fuori del bello di Dio.
Perché dunque insistere sull' idea sbagliata che il bello creato, limitato, è solo un invito alla lode, solo un invito ad andare oltre per arrivare alla fonte? Il bello, la bellezza non sono solo apparenza: il bello esiste ed è qualità, è attributo divino anche nel creato. Non c' è bisogno di non apprezzarlo, non c’ è necessità del contemptus mundi et sui ipsius ( = disprezzo del mondo e di se stesso ), per aspirare all' espressione massima del bello che è Dio. Dio, certamente, non ci ha chiamati solo ad aspirare, ma anche a vivere. La via della sola o della prevalente negazione è manichea, pur ammantandosi di ascetismo. Questa espressione creata, limitata, divina, del bello, della bellezza è già ascesi, è già mistica e partecipazione di Dio. Non è necessaria un' ascetica della negazione per salire, ma un' adesione del bello per essere già comunione con Dio, vita in Dio, che porta con sé esclusione del male, conseguimento di perfezionamento nel bello. Tutto il bello è manifestazione di Dio e si può davvero fondare la prova dell' esistenza di Dio e tutta la teologia dogmatica e morale sul bello, tornando a recuperare, nel sentire e nel vivere, il legame stabilito dai Medioevali Ens et Pulchrum convertuntur. Dio e il bello sono la stessa cosa, al di là della precarietà e della limitatezza della vita dell’ uomo.
La Bellezza de L' altra montagna, scoperta, raggiunta nelle faticose e spesso rischiose ascesi delle montagne, è questa.
Il ragazzino dei Fiori di ciliegio, un po’ ribaldo monello dalle mille risorse, partito per la tangente, ha chiuso il cerchio, è tornato a casa, nella casa della Bellezza.



















giovedì 2 agosto 2012

La donna che leggeva il mare

Con piacere presento la prima edizione, da me curata, della particolare fiaba poetica La donna che leggeva il mare, di Gioia Calcagnolo, autrice non nuova a questa tipologia di creazioni che si situano tra realtà e fantasia. La realtà si fa fantasia, diventando difficile riconoscere questa genesi, bruciata com’ è in poesia.


La Donna che leggeva il mare è una particolare fiaba poetica, che si svolge di poesia in poesia. Vi si sente il ricordo, il dolore, la nostalgia, il pianto dell’ amore non amato.  La donna che leggeva il mare  vorrebbe avere una chiamata all’ amore, ad amare e ad essere riamata.  Ma, pur soffrendone, non può rispondere all’ amore di qualcuno, perché “ Non c’ è mai  abbastanza mare negli occhi di chi ama “. Il mare è metafora della vita e dell’ amore che va oltre, che va verso l’ incontro nelle profondità dei sentimenti veri e gratificanti, nelle sfere più alte dove diventa quiete e appagamento. È solo lì che potrebbe corrispondere e sentire che l’ amore è amato. Questo però  non si realizza e allora invece del canto, ne resta solo il lamento e il patimento.

giovedì 17 maggio 2012

Poesia e solidarietà



La nuova raccolta di Anna Rocca, poetessa italiana che vive periodi di tempo a Capo Verde, nell’ isola di Sao Vicente, si intitola TUT DRET. Nella lingua dell' arcipelago capoverdiano significa TUTTO BENE, una formula di risposta e di saluto. Pur nascendo come espressione di poesia, si lega a un progetto di solidarietà, esplicitamente dichiarato in fondo al volume: " A testimonianza del nostro amore per questa terra vogliamo offrire ai bambini meno fortunati di Capo Verde il ricavato della vendita di "tut dret" affinché possano ricordare con un sorriso la propria infanzia".
La poesia di tut dret è la poesia di un' esteta. Così si sente e si definisce l' autrice nella poesia “ Bicicletta ”. Così la percepisce il lettore.
Poesia di un' esteta con un grande cuore, un' acuta sensibilità e animo e occhioni di bambina piena di capacità di stupore.
Qualsiasi cosa colpisce e intenerisce i suoi occhi e il suo cuore di esteta: persone, cose, forme,  colori, aria, suoni, vento, movenze, distanza, situazioni e abitudini di vita, sperdutezza infinita nell' oceano. Tutto è come se stessa e in se stessa. La sua poesia non è espressione letteraria, è modo di sentire la vita. E' maniera di soffrire la vita, perché questo sentire è inarrivabile agli altri e perché gli altri sono inarrivabili al suo sentire. Per quanto riguarda l' anima della sua poesia, Anna Rocca è una decadente di fine Ottocento-primi Novecento. Nel grande decadentismo, la sensazione era lo strumento di conoscenza di tutto ciò che esiste. La sensazione era la metafisica del percepire, dell' andare oltre, dell' afferrare l' essenza e di sprofondarvisi. Del decadentismo le sue sensazioni non hanno le esplicitazioni di immagini, contenuti e linguaggi. Tutto è trattenuto nella normalità delle espressioni e descrizioni comuni. Tuttavia al di là di questo si avverte che il suo sentire è un continuo andare oltre, è un conoscere, è un vivere e un far comunione con tutto. Persone, cose davvero sono se stessa e in se stessa.
Chi vuol vivere emozioni, conoscenze del mondo oltre la superficie, non si fermi a pensare, provi a lasciarsi andare alla letture delle sue poesie, senza pensare, soltanto seguendo a occhi socchiusi e abbandonandosi a pause di silenzi. La poesia della poetessa di Dongo, infatti, pur partendo dalla realtà ed essendo piena della realtà, è poesia del silenzio, dell' anima in ascolto, degli occhi sgranati di stupore.


TUT DRET
Nuova Editrice Delta , Prima edizione, 2004, Gravedona ( Como )

domenica 18 marzo 2012

PRODUZIONE - NOTORIETA’ E COMUNICAZIONE - VISIBILITA’

Ritorna frequentemente il dibattito sul futuro del libro, sulla lettura del libro, sui canali di uscita del libro e delle opere d’ arte. Certamente la biblioteca digitale alla quale lavorano Google, Amazon, Apple e altri grandi players costituisce da una parte un accesso facilitato al libro e alla lettura, una sua salvaguardia nel tempo e dall’ altra un grande business. Ma tutto questo non ha ancora alla base l’ editoria elettronica ( solo in piccolissima parte ), ma quella tradizionale. L’ editoria elettronica, dai dati disponibili, non cresce ancora in modo adeguato. E’ frenata anche dagli interessi degli operatori tradizionali. Tuttavia c’ è, convive come i libri manoscritti hanno continuato almeno per tre secoli a convivere con la stampa, una volta inventati i caratteri mobili di Gutenberg. Sono due possibilità. Il futuro ci dirà come sarà lo svolgimento. Per ora possiamo pensare che succederà quello che è accaduto con l’ informatica. Ancora all’ inizio degli anni ottanta, a livello di massa, si faceva fatica a vederne l’ applicazione pratica ai vari settori della vita e della società. Oggi si fa una grande fatica a immaginare come si potrebbe fare a meno dell’ informatica. Si può prevedere che l’ e-commerce imporrà il digitale come la necessità di diffusione del libro impose i caratteri mobili di Gutenberg. Possiamo chiederci se l’ editoria elettronica sarà la morte dei canali tradizionali del libro, della lettura e se la vetrina on line sarà la fine di mostre, esposizioni, musei. Questo non si vede all’ orizzonte. Per ora è convivenza e ancora prevalenza dell’ editoria e delle sedi tradizionali. Visto che la stampa digitale si va diffondendo, in particolare possiamo domandarci: ma quali sono i canali della letteratura oggi? Internet è il suo nuovo canale? A giudicare dal proliferare degli editori on line, dai siti che si creano i singoli scrittori o gruppi di scrittori, famosi e non famosi, ma soprattutto dalle adesioni di poeti, narratori in cerca di una via di uscita, sembrerebbe di sì. Parrebbe di poter dire che finalmente si è scoperta l’ America. Va o resta in editoria, in vetrina on line solo chi non si rassegna ad essere escluso da quella cartacea e dalle sedi deputate consuete. Ed è naturale perché Internet non può dare né la produzione né la notorietà. Può essere visibilità ( spesso limitata solo a chi accede ed effimera ) e comunicazione.
La produzione culturale, letteraria e artistica ( non il fenomeno di massa “ del tutti che scrivono e fanno arte ”), con i relativi successi o insuccessi, notorietà o anonimato, è banale dirlo, passa attraverso canali tradizionali: la persona che si forma, le università, le riviste specializzate, le case editrici, le librerie, i convegni, gli istituti di ricerca, gli storici, i critici militanti, gli incontri nei luoghi tipici a cominciare dai Caffè sette - ottocenteschi agli equivalenti di oggi, gli scambi nazionali e internazionali tra artisti e persone di cultura, i viaggi e i soggiorni in culture differenti. Questa può essere la via del successo e della notorietà e di durata nel tempo. Il resto appartiene alla visibilità, alla comunicazione, al commercio, all’ utilità innegabile e grandissima, ai fenomeni di massa e anche molto al salotto delle chiacchiere, alla vetrina effimera, alla stampa virtuale più del fumo che dell’ arrosto.
Se diamo uno sguardo anche estremamente superficiale alla letteratura e all’ arte italiana dai primi anni del Novecento in poi, troviamo che i movimenti più fervidi di idee e di vita non si sono rinchiusi nei confini nazionali e si sono intrecciati alle arti e alla cultura in generale. Pensiamo ai Futuristi, alla loro presenza attiva in Francia, Germania, Russia, Inghilterra, Spagna, Brasile, Argentina e al loro intreccio con la musica, il teatro, il cinema, la pittura e scultura e con altri movimenti di pensiero e di estetiche. Consideriamo soprattutto la promozione del loro movimento che perseguivano attraverso le rappresentazioni teatrali, le mostre di pittura a Parigi, Londra, Mosca, le riviste specializzate, la critica, le conferenze, le lezioni in ambito universitario. La loro notorietà veniva da questo crogiolo e scontro di idee, produzione, esperienze a livello nazionale e internazionale. Una strada questa che sarà battuta anche dai neorealisti italiani, aiutati parecchio a percorrerla dal grande cinema neorealista.
Anche prescindendo da movimenti come Futurismo, Neorealismo, riferiamoci pure a singoli pensatori, scrittori e artisti, a quanto si sono dati da fare per una notorietà internazionale o addirittura universale. Ricordiamo quanto hanno operato intensamente verso l’ estero Croce, Pirandello, D’ Annunzio, Svevo, Sciascia, Calvino, Eco, per una loro immagine, affermazione e notorietà nel mondo. Il successo durevole nel tempo e la notorietà, oltre il campanile, sono ancora legati saldamente a questi canali tradizionali e non può essere diversamente. Non si negano gli straordinari vantaggi pratici della visibilità, della comunicazione e informazione Internet e dell’ eBook, dei Kindle e degli iPad ed è giusto e legittimo frequentare il canale virtuale che attraversa il mondo, affidargli un primo affacciarsi all’ esperienza letteraria e artistica in generale, ma da questo mezzo si possono avere visibilità di breve durata e comunicazione limitata a fini pratici. Chi sente di essere scrittore, poeta, pensatore, artista, e magari di volere e potere affermarsi oltre che nella propria nazione, anche al di fuori dei confini nazionali, avrà bisogno sicuramente di gettare il proprio sguardo e affidare la propria produzione ai luoghi di sempre. In questo preciso senso il futuro è il futuro dei canali tradizionali. L’ uomo ha bisogno di presenza, di tangibilità, di materialità e non di virtualità.