mercoledì 8 giugno 2011

Il cammino dell' arte contemporanea


 Dal " Corriere della Sera "

Per meglio comprendere il cammino dell’ arte contemporanea è utile ricordare che dall’ antichità al Novecento l’ arte è sempre stata espressione del bello o anche espressione bella del brutto, forse per rafforzarne il senso.
Nel greco classico Kalòs ( bello, buono, virtuoso, ideale, perfetto, ecc. ) e Kakòs ( brutto, cattivo, malvagio, imperfetto, inadatto, ecc. ) avevano tanti significati e tutti riferiti a qualità, a pregi o a difetti, mancanze, ecc. Anche nel greco Koinè, quello diffuso dalle conquiste asiatiche di Alessandro Magno, Kalòs significava bello, buono, ideale, perfetto. Queste significazioni, arricchite nei secoli di accentuazioni proprie, istintivamente sono pervenute fino a noi, tanto è vero che in qualche caso incliniamo a vedere nella persona bella una persona buona e nella persona brutta una persona cattiva. Infatti si sente dire l’ espressione: “ Si vede anche dalla faccia che è un poco di buono, un delinquente ”. Errate e pregiudizievoli connotazioni morali già presenti nel secondo libro dell’ Iliade a proposito di Tersite, nella giurisprudenza del Medioevo, nella visione scientifica positivista di Cesare Lombroso. I canoni della bellezza dell’ arte classica e dell’ arte fino all’ Ottocento, quando iniziarono segni di deregulation e poi di sbriciolamento che si consumarono nel Novecento, si ispirarono sempre a questi concetti di bello e di brutto, a prescindere che per i Greci la bellezza fosse come un essere a sé, quasi una divinità, convinzione che si protrasse nel tempo al punto che poi i filosofi scolastici del Medioevo affermarono che Ens et pulchrum convertuntur, vale a dire che Dio e la bellezza sono la stessa cosa.
Nel Novecento avvengono grandi cambiamenti nel cammino dell’ arte, che sconcertano, sorprendono, colgono impreparati, portano a rifiuti, ad accoglienze acritiche, a negazioni ed esaltazioni. Fanno discutere, non possono essere ignorati e crescono in progressione fino a quella che l’ intestazione di un sito chiama Babele Arte. Si spostano i confini di tutto e tutto può venire assunto a oggetto d’ arte o ad arte stessa, semplicemente decontestualizzandolo, come avviene nel ready made iniziato con l’ Orinatoio ( fontana ), 1917, di Marcel Duchamp. I cambiamenti investono tutto dell’ arte. Si moltiplicano i manifesti, i movimenti e le correnti delle correnti. E il processo è tuttora in continua evoluzione. Si persegue la distruzione, la decostruzione di un mondo estetico per crearne altri. Più che legittimo. C. G. Jung avrebbe potuto dire all’ artista: “ Non sia d’ altri chi può appartenere a se stesso” o ancora: “ Chi altri deve vivere la tua vita se non tu stesso? ”. L’ artista vuole appartenere a se stesso, al proprio tempo, alla propria civiltà, vuole vivere la propria vita anche artisticamente, non imitare, ma emulare con una diversa originale creatività. Nell’ Umanesimo-Rinascimento l’ emulazione era con Dio, qui è con tutta l’ arte del passato. L’ homo quidam deus di Marsilio Ficino, quello che emula, è il quidam deus di contro a tutti gli altri artisti che lo hanno preceduto. E così cambia tutto quello che può. Uno dei tantissimi cambiamenti riguarda il bello e il brutto. Si va spesso dall’ estetica della bellezza all’ estetica della bruttezza. Non che in passato non si rappresentasse la bruttezza, basti pensare a Hieronymus Bosch, un solo nome per tutti. Ma la bruttezza era sempre rappresentata con le classiche connotazioni morali e con l’ espressione bella anche del brutto. Nell’ Urlo ( 1893 ) di Münch c’ è il brutto, il timore panico, l’ angoscia, non con una rappresentazione bella, ma con una espressione efficace, artisticamente e tecnicamente molto alta. Nel Novecento non interessa più rappresentare in modo bello la bruttezza. Il segno del cambiamento è proprio qui. Non solo, così spesso, si rappresenta la bruttezza, l’ orrendo, il raccapricciante, ma anche la modalità è della stessa natura. E’ un secolo dominato dalle orribili brutture delle due guerre mondiali, dal dominio di disumani e folli totalitarismi. Tutto questo ha un pesante riflesso sulle espressioni artistiche. Come il poeta Ungaretti, uscito dalla guerra sul Carso, vedeva che tra le tante città distrutte, la più distrutta era la sua anima, così l’ artista del Novecento, porta spesso dentro di sé questo paesaggio di distruzione e di morte e lo esprime in tante forme e maniere. Contenuti e forme espressive negative vanno di pari passo. In tutto vale l’ estetica della bruttezza. Il brutto non lo si ammanta più del bello. Non lo si riveste come nell’ arte del passato, lo si esibisce come tale. La modalità è una scelta non più estetica, ma etica, di giudizio. Rafforza il concetto del negativo. Ne sottolinea sinistramente la vitalità, proprio come diceva il titolo di una mostra degli anni settanta Vitalità del negativo, organizzata da Incontri Internazionali d’ Arte. Non c’ è chi non veda questo segno di cambiamento, di spostamento dal bello al brutto, sia pure un brutto espresso da un artista, anche se non infrequentemente nel Novecento questo brutto è  brutto davvero artisticamente e tecnicamente. Si pensi pure anche a tante esposizioni al Padiglione Italia della 54a  Biennale di Venezia, dove, spesso, l’ occhio più che all’ arte è mirato alle trovate, allo stupire, alla meraviglia barocca, al marketing, al sensazionalismo personale, tipo quello di Maurizio Cattelan con i suoi duemila colombi imbalsamati.
L’ artista del Novecento è riuscito davvero a emulare e quanto? Solo la distanza negli anni sarà in grado di valutare. Siamo ancora dentro o per lo meno a ridosso e non siamo in grado di vedere bene, solo la prospettiva del tempo potrà analizzare, soppesare e giudicare criticamente. E per di più l’ ambiente è inquinato da tanti interessi e interferenze del mercato e, secondo l’ invettiva di Vittorio Sgarbi, anche della moda che ha mercificato l’ arte. Un grandissimo merito dell’ artista del Novecento, però, è ben chiaro fin da oggi: l’ aver spostato i confini dell’arte, del gusto, dell’ interesse, della cultura; l’ aver sprigionato tutta la forza dello spirito creativo e aver capito che tutto è esplorabile e degno del fare, del gesto artistico. In questo senso l’ artista del Novecento è un vero demiurgo, un grande emulatore, un creatore di un nuovo Rinascimento e molto spesso di un nuovo Barocco, si guardi alle installazioni, agli impacchettamenti, ecc.
I grandi sconvolgimenti artistici del Novecento richiedono cambiamenti anche in chi osserva l’ opera d’ arte. Il semplice vedere non è stato mai sufficiente, ma oggi non lo è più neppure il solo guardare. Nel Novecento e ancor più via via fino ai giorni attuali l’ atto del guardare non basta per porsi di fronte a un lavoro che viene presentato come opera d’ arte.  Il solo atto del guardare molte volte non riesce a vedere se c’ è e dov’ è l’ opera d’ arte. E’ evidente che occorre altro. Si comprende che le opere che si vedono, frequentemente, non sono  arte da guardare, ma da pensare. L’ estetica dello sguardo, che analizza le forme, i colori, non è più sufficiente, occorre andare all’ estetica del significato. Che cosa poteva dire il solo sguardo del Brillo Box ( 1964 ) di Andy  Warhol?  E’ evidente che era necessario fare un ulteriore spostamento dall’ arte dello sguardo all’ arte del significato, dalle opere da guardare alle opere da pensare, dove anche il banale, l’ ovvio, il brutto della realtà diventa il bello del pensiero, conferendogli una dimensione trasfigurata. Se in Duchamp vi era la semplice oggettività decontestualizzata, in Warhol vi è la soggettività che ripensa,  relaziona e connota la cosa. Se nel primo bastava l’ estetica dello sguardo, nel secondo occorre anche quella del significato, in quanto l’ opera è nata da un atto di pensiero. Si può discutere sull’ estetica del significato, che certamente nasconde il pericolo di cancellare i criteri di giudizio, di ridurre in modo estremo l’ arte, di confinarla nel pensiero e di avallare tutto come arte,  ma come leggere, interpretare, considerare, senza di essa, tanta produzione artistica del Novecento? Sono domande che generano altre domande, ma è necessario porsele, se si vuole tentare di trovare la strada nel labirinto dell’ arte contemporanea, che investe anche i musei, i quali si stanno trasformando da luoghi di conservazione a spazi tematici.
I cambiamenti nell’ arte del Novecento e di questo primo decennio del Duemila potrebbero dar luogo a illimitate riflessioni sui molteplici aspetti, ma certamente quelle sull’ estetica del bello, del brutto e del significato sono ineludibili.


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