venerdì 2 dicembre 2011

Quasi il suo contrario


La poesia del Novecento fin verso il 1968 è sempre stata animata, accompagnata, vivacizzata da elaborazioni di programmi, di estetiche; da correnti, riviste, movimenti o gruppi ispiratori; dalla saggistica. Quella degli ultimi trent’anni del secolo è un po’ il suo contrario. Tutto questo scompare o quasi. I poeti procedono in ordine sparso, al di fuori di manifesti e di particolari riferimenti programmatici. Un fenomeno parallelo alla caduta delle ideologie. La democrazia culturale ha fatto crescere a dismisura il loro numero, finendo per lo più fuori dell’ attenzione della critica, che segna un distacco dalla poesia. Tutta la moltitudine poetica è fuori del suo controllo e della sua ribalta. Impossibile seguirne la pletora. La folla di poeti, che, secondo un paradosso, supera quella dei lettori, finisce in pubblicazioni solitarie, in almanacchi, premi e concorsi i più vari, in siti che appaiono e scompaiono come meteore, in edizioni di editori minori. Entrano sempre più in scena, al posto degli editori, gli stampatori che realizzano stampe a spese e ad autocompiacenza dell’ autore. Un certo numero di questi segue l’ imitazione di modelli, specie anglosassoni, americani. Ma l’ imitazione non sorge dalla vita com’ era per i modelli, ma dalla moda, segnando in partenza una mancanza di originalità e di qualità.

La critica si limita a un certo piccolo numero di poeti consolidati e ad un altro limitato insieme proposto in antologie di editori che hanno l’ intento di dare una panoramica della poesia attuale. I poeti delle antologie, più che oggetto dell’ attenzione della critica sono proposte di editori maggiori, che ne assumono in qualche modo la funzione e ne occupano lo spazio. Il critico è stritolato non solo nella sindrome della quantità, ma anche in quelle della indefinibilità, dell’ incapacità e dell’impossibilità a discernere, catalogare, definire, segnare appartenenze, stabilire confini, periodizzazioni, generi e stili, maniere formali, atmosfere, relazioni, significazioni non informative, senso e nonsense, connotazioni, dinamismi verbali, nuovi stilemi, diverse figure retoriche, grammatiche o loro assenza.

La poesia di questi anni struttura molte tipologie di testi, prende le vie del romanzo autobiografico, dell’ epistola, dell’ epigramma, del poemetto, del teatro, del racconto, del ritorno alla poesia e alla metrica del passato, della versificazione nuova, rapida, veloce, sperimentale fino a stupire per la sua semplicità o eccentricità, percorre i sentieri degli arricchimenti del testo poetico con paratesti, intertesti, apporti iconici. Per lo più rende faticoso al lettore percepire se si tratta di prosa o di poesia. L’ andamento è quello della discorsività, del tono dimesso, colloquiale, confidenziale. Qualcuno ha scritto che la poesia “si teatralizza” e “si prosa”, va alla deriva verso la prosa, arrivando anche a spettacolarizzarsi, senza per altro riuscire a offrire per lo più un vero spettacolo.

La materia è quella della quotidianità, senza scelte, senza selezioni, opzioni: è quella qualunque della vita. E’ tante volte minimal e allora di pari passo sono minimal il linguaggio, lo stile, la versificazione, i generi. E’ la discesa della poesia nel mare della quantità e nei registri verbali e stilistici bassi ( non manca, però, anche il registro aulico ), è il distacco dal monolinguismo di tradizione, dalle lingue base pascoliana e dannunziana ed è il passaggio al plurilinguismo, con le importazioni tramite le traduzioni, con lo sperimentalismo, lo scambio con le arti, con le scienze, con l’ informatica, con i dialetti.

Tutto questo segnala la fine della letteratura e di conseguenza della inclusiva specificità della poesia di cui si discute tanto nell’ ultimo trentennio del Novecento, sotto l’ incalzare di un universo sterminato di altri codici più idonei a interpretare, analizzare, elaborare, enucleare ed estrapolare dalla realtà, aprire mondi nuovi e sogni impossibili?

La polverizzazione delle arti figurative, la frantumazione delle poetiche, il continuo eruttare lava dalla soggettività più libera, sembrano davvero segnare la fine della storia dell’ arte e della letteratura. Nelle galassie della quantità, delle produzioni, dei linguaggi, contaminazioni, generi e stili, per il critico, ora è possibile vedere quasi soltanto una indistinta massa lattea. Sarà solo il telescopio della distanza e del distacco degli anni che consentirà di vedere le singole stelle, le singole luci. Nello stesso tempo si potrà concordare con l’ Italo Calvino delle Lezioni americane che la letteratura e la specificità della poesia hanno cose da dire che soltanto esse possono dire.

1 commento:

  1. Il fenomeno é certo quello! Per un giudizio di qualità, proprio non saprei.

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