lunedì 9 settembre 2013

Vignaioli e Tartufai

Serralunga Addio bel paese di vignaioli e tartufai è un panorama di realtà paesane quasi immobili, anni cinquanta - sessanta, che, sotto la spinta sociale,  ben presto evolveranno e degraderanno.
La prima parte è un’ agile biografia di protagonisti, la storia dei quali, per pura casualità , si intreccia con quella dell’ autore, la cui autobiografia occupa la seconda parte. Insieme a molte altre realtà  è anche un candido e vero “ romanzo ” d’ amore tra Laura e Ugolino.
E’ una storia ben costruita. Il suo disegno lineare, scorre fluido ed essenziale. Si legge volentieri e si gusta il sapore della sua autenticità.
Dal punto di vista sociale è una rilettura della società anni sessanta - novanta attraverso la vita, i costumi, i protagonisti di un paese dalle eccellenti risorse naturali. Il paese è specchio della grande realtà nazionale in crescita e in degrado morale. 




domenica 3 marzo 2013

Carpesino



IL ROMANZO “ CARPESINO ”

di Alessio Alberto Brenna


Significato e altro del romanzo Carpesino

Carpesino, parola che intitola il romanzo, è località vera, tuttavia, non ha tanto importanza come luogo geografico, come paese della propria nascita, quanto come luogo-significazione di un tempo, di un mondo e di un modo di vivere che non sono più. Più che una località, è dunque una metafora di un’età trascorsa. Mi viene in mente Franca Valeri che afferma in una intervista che le hanno dato più i luoghi che le persone. In realtà qui sono le persone, nel luogo Carpesino, è il loro modo di vivere, è l’ epoca, che hanno dato molto al protagonista, che gli hanno permesso di vivere la sua grande stagione.
Carpesino è intreccio di storia famigliare e di realizzazione di una passione, l’ atletica. E’ storia fatta di realtà vera, che attraverso il procedimento della memoria diventa romanzo. Si fa romanzo di una passione e rodio della coscienza. E’ il quadro non solo di una vicenda personale, ma anche di una storia più ampia di valori educativi, ludici, sociali, religiosi. La storia personale, vera, vissuta in pienezza è il filo conduttore che porta alla luce questa più ampia stagione di costumi, ideali, modi umani di vivere e di relazionarsi.

Carpesino, non è il romanzo della nostalgia, del rimpianto, ma un affresco, vero, reale, intrigante e coinvolgente di sentimenti e di vita, centellinati e goduti. E’ romanzo che propone emozioni e fa vivere emozioni non più possibili nel presente. Emozioni di cose che un tempo partivano dalla realtà e che oggi arrivano dalla suggestione letteraria.

Carpesino è la riflessione, la considerazione e la stima per valori rievocati affinché non muoiano nei propri ricordi e per i propri cari.
Carpesino ( qualsiasi altro luogo avrebbe avuto la stessa funzione rammemorativa ) è luogo dello sbocciare e crescere della vita in famiglia circondata da cure amorevoli, che fa assaporare anche ogni momento di religiosità, di festa, di incontro, di svago, di socializzazione e apprendimento, sede degli affetti famigliari, della prima fase della vita di relazione e dell’ amicizia. Luogo che riempie di ricordi e segna gli anni. Poi verranno altri luoghi, altre situazioni, ma mai di uguale significato e importanza.

Carpesino è storia che attraversa tutte le età della persona, che si sviluppa come un magma, insieme al crescere della persona stessa e che man mano si placa e chiarisce, rendendo le proporzioni, il senso scalare delle cose, dei valori e della vita. E’ pertanto anche la riconquista di una dimensione reale, dove le cose vanno a ricollocarsi secondo i veri valori, il giusto peso nel tempo e nei sentimenti.
Infine Carpesino è anche romanzo sportivo su una linea d’ orizzonte storico-sociale più ampia di quella di Pudore ( 1984 ). In quanto romanzo sportivo ha il valore, la specificità, la competenza sportiva di chi ha praticato lo sport a livello professionale e in quanto romanzo di argomento sportivo, ha la validità di chi scrive conferendo una qualità letteraria. Partecipa della duplice personalità dell’ autore, atleta e scrittore. L’ Atletica è presente come una coprotagonista, “ non concepita in modo puramente tecnico, agonistico, ma anche come attività che coltiva e allarga l’ animo e forma la sensibilità, non cancella i ricordi, non distoglie dal lavoro quotidiano e non sopprime i sentimenti ”( dalla mia prefazione a Pudore ), facendoli coesistere sia pure in una difficile convivenza.

Lingua e Stile: Tutto viene fatto rivivere con un registro linguistico aderente alla vita, con una narrativa lineare, frequentemente dialogica, veloce come l’ ansia del protagonista di passare di esperienza in esperienza, con uno stile che, tanto spesso, ha il sapore e il pregio della visualizzazione efficace, del coinvolgimento personale. A rendere interessante il racconto più che gli eventi è il loro dipanarsi, intersecarsi, scorrere eccessivo fino a esondare, svilupparsi in modo catturante e quasi monopolizzante, per poi riprendere la misura della realtà quotidiana.

L’ azione: L’ azione del romanzo è più interiore che esteriore, è più nell’ animo che nelle cose e nei fatti, è più nella lacerazione tra la propria passione e le scelte di orientamento per la vita, è più nel dramma di fare sponda ora sulla famiglia ora sulla propria attività sportiva che tende sempre a sormontare e a prevaricare, è più nella costante fatica di tenere insieme realtà presenti un po’ relegate, rimproveri della moglie da affrontare e aspirazioni personali. L’ azione è nel movimento stesso, nel ritmo della narrazione, nell’ affanno delle molteplici pressioni, nella rincorsa degli eventi o nella ricerca di soluzioni. L’azione sta nella macchina scenica molto complessa, fatta di realtà che interferiscono e si intersecano proprio come nel corso reale della vita. Il punto focale è la vicenda umana nei valori che la rendono positiva, interessante, bella da vivere, piena e che dovrebbero caratterizzarla sempre, essere atemporali, al di sopra del tempo che passa, per meglio vivere nel tempo, sempre. L’ avventura del protagonista è emblematica di quello che era bello, vissuto, pieno e che ancora dovrebbe poter essere. Tutto ciò costituisce la sua unità di ispirazione, di azione e coordinazione delle parti.

Genere: Carpesino non è un’ autobiografia, è romanzo autobiografico, in quanto è in parte la trasposizione letteraria della vita di Luigino-Alessio, ma è anche biografico, perché la vita che vi scorre non è dissimile a quella di altri che hanno vissuto gli stessi anni, la medesima epoca.

Struttura del romanzo: Carpesino si struttura in sei parti, di cui cinque sono come cinque romanzi e la sesta ne è la conclusione. E’ un’ opera in progressione, contenutisticamente e stilisticamente, attraverso i dati dell’ età, ma ogni parte è completa entro la conclusione dell’ arco di vita che racconta. Occorre guardare al di là di fatti semplici, lineari e vedere sotto la fitta orditura di dinamiche e interferenze tra le diverse situazioni per cogliere il senso del romanzo e soprattutto avvertire tutto questo nel respiro dell’ insieme. E’ dallo sguardo d’ insieme che viene fuori il vero senso dell’ opera, lo sviluppo del protagonista e dei personaggi, la molteplicità dei temi inseriti nella storia. Protagonista di questo ciclo narrativo è Luigino attorno a cui ruota una folla di personaggi.

Il protagonista: Luigino, che contagia per la sua simpatia, è un po’ monello, ma anche ubbidiente, con poca voglia di studiare, ugualmente impegnato, però, nella scuola, che tiene in ansia, perché sempre sul filo scarso del rendimento, sempre fervido di fantasia creativa nell’ inventarsi giochi, nel divertirsi con un niente, nel fare dispetti innocui, pronto a cogliere e a vivere le piccole novità, i minimi avvenimenti famigliari e a porre domande, a commentare o a dare risposte spiritose e impertinenti, ad annoiarsi e a riprendersi con slanci creativi. Ma oltre il Luigino dell’ infanzia e fanciullezza, dei “ giorni infiniti ”, c’è il Luigino dell’ adolescenza, dell’autonomia, della ribellione, delle “ bande sfrenate ”, degli estri e delle improvvisazioni, delle cose più scombinate e senza senso. C’ è il Luigino della giovinezza in tumulto, ancora indugiante sulle astrattezze, ma con il rovello ormai di dare una svolta alla propria vita e a non rimandare una “ solitaria ascesa ”, quella delle scelte di vita, della conciliabilità tra queste e le idealità, della dialettica tra le due. C’ è il Luigino della costante fatica di tenere insieme i due amori, della famiglia e dell’ atletica. Solo le “ tenaci radici ” della formazione famigliare gli impediscono di viverli l’ uno a scapito dell’ altro, sia pure con qualche sbilanciamento involontario. C’ è il Luigino della “ strada del ritorno ”, dove i fili della passione si allentano, sono sul punto di sciogliersi e un pensiero inarrestabile rotola un fiume di “ ricordi, amarezze, assenze, trascuratezze, mancanze, attenzioni negate, doveri incompiuti ”. Il romanzo Carpesino è anche questo risvolto psicologico, questo lacerante parallelo interiore alla situazione esteriore. E infine c’ è il Luigino delle “ acute nostalgie ” che vorrebbe avere un’ altra occasione per “ poter ricominciare dalla fanciullezza, dai giorni nei quali né l’ inebriante aroma dell’ avventura né il tarlo di una missione da compiere si erano insinuati in lui ” e ricuperare le persone care che non sono più e Dio, trascurato come tutto ciò che, doveri compresi, intralciava “ i suoi impegni sportivi, il frenetico dinamismo, il raggiungimento di altre mete ”.

I temi di questa struttura romanzesca sono temi di esperienza, che hanno attraversato anche le stagioni, i percorsi dei nostri anni e sono:

. la voracità infantile dei giochi, il divertimento senza fine, i “ giorni infiniti ” del godimento
. l’ insaziabile assaporamento delle vigilie e dei momenti di festa insieme, come le cene del Natale

. le smemoratezze, le trascuratezze, il sovvertimento delle cose in ordine d’ importanza, la non coscienza di una scala di valori, le deformazioni, gli errori, le urgenze urlanti della vita che cresce

. i sogni, le sfide con se stessi e con la vita, i modelli di nuovi riferimenti, i traguardi da raggiungere, il tempo e le energie profuse e poi

. i ricordi malinconici o tristi, le acute nostalgie per tutto ciò che di bello è stato, l’ erosione della felicità spensierata, il rimpianto per le cose importantissime e primarie a cui non si è data attenzione, per lo meno in modo sufficiente

. la volontà in qualche modo di volerle risarcire e recuperare almeno nei ricordi, di ritrovare un peso, un significato, una priorità, dei tempi perduti, esteriori e interiori, legati al passato, ma ai quali ritorna il presente come a chiudere una circolarità, la circolarità della vita, che parte dal luogo di origine di ogni avventura e vi ritorna carica di ricordi.

Procedimento narrativo: Tutti questi temi prendono forma di scrittura romanzesca attraverso la memoria, ma una memoria che più che avere sede nella facoltà della mente, ce l’ ha in quella del cuore come indica il verbo latino della sua attività, re-cordari, derivato di cor, cordis “ cuore ”, perché il cuore era considerato sede della memoria. Questi temi vengono dalla memoria del cuore, che non è memoria volontaria, che richiama, ricostruisce i dati del passato, attraverso procedimenti intellettuali, razionali o documentali, senza restituirci le sensazioni di momenti irripetibili, ma è memoria involontaria, spontanea, alogica, memoria epifanica, secondo il linguaggio dei poeti e prosatori decadenti, quella che rivela e riporta in vita le sensazioni, rituffa nel passato, facendolo percepire contemporale, presente e non perduto. E’ il risorgere e il rivivere le sensazioni che si realizzano attraverso il lungo rievocare e ricordare delle sei parti del romanzo Carpesino. Questo ricordare o memoria del cuore, ri-crea, rifà presente gli eventi, le emozioni. Lo specifico artistico, letterario del romanzo Carpesino, che lo distanzia da una scrittura semplicemente documentale, consiste proprio in questo: nel saper rendere vivo e presente nel cuore, nello spirito, nella percezione e fissare come punto stabile, atemporale, ciò che è passato nell’ esperienza sensibile e nel trascorrere della vita. La memoria spontanea risveglia e la scrittura ri-creativa, artistica, fissa per sempre il magma non più transitorio delle sensazioni. Passato e presente nella scrittura si identificano, si fondono. Fare memoria è fare presente. Chi legge ha l’ impressione di stare vivendo in quegli anni passati, in quel mondo lontano, in quel tempo distante, in quei colori e sapori, fatti di ristrettezze economiche, ma pieni di voglia di vivere, di incontro, di relazioni parentali e amicali. Il procedimento narrativo che racconta una realtà di memoria spontanea conferisce al romanzo carattere letterario e al lettore il piacere del coinvolgimento, nella continua tensione che vive il protagonista nelle varie fasi della vita, negli antagonismi dei suoi interessi, nei suoi problemi irrisolti, l’ amore per la ragazza e l’ amore per l’ atletica.

Alessio Alberto Brenna: dopo aver delineato queste sintetiche indicazioni sul romanzo Carpesino, mi sembra utile aggiungere qualche considerazione sull’ autore. Anche a Erba si organizzano abbastanza spesso presentazioni di romanzi e di racconti di scrittori lariani. Sebbene Alessio Alberto Brenna non sia nato e non viva sulle sponde del Lario, è però nato e vive alla base del Triangolo Lariano e pertanto mi pare giusto, sia pure in senso lato, annoverarlo tra gli scrittori lariani con una propria specificità narrativa. Di scrittori lariani cito solo due:

. primo tra tutti, il notissimo Andrea Vitali, medico di base e scrittore di Bellano. L’ immaginario di Vitali ama intrecciare la grande storia con la storia della propria piccola città, con le storie e con la vita di provincia e paese, con i misteri, i segreti, gli intrighi, le leggende, le voci, i costumi, gli usi locali, i personaggi comuni della sua Bellano. Un intreccio affascinante che gli ha dato grande successo e notorietà in Italia e all’ estero con le numerose edizioni Garzanti e le tante traduzioni.

. altro lariano, Giuseppe Guin, giornalista e scrittore; dal rudere restaurato entro una cava di pietra, a Faggetto Lario, lavora, tra l’ altro, in modo particolare su voci affabulatrici, su leggende locali con grande maestria di impianto e di conduzione narrativa, che gli hanno assicurato molta diffusione editoriale con ripetute edizioni nel giro di pochi mesi.

Questi nomi, solo per stare a quelli di maggior notorietà e consistenza letteraria.

Alessio Alberto Brenna, fino a questo momento, ha lavorato più sulla letteratura sportiva e attraverso il processo letterario della memoria ha scritto non soltanto il romanzo Carpesino, ma anche una buona parte della produzione precedente. Quel tipo di memoria epifanica, che manifesta, rivela, riporta a se stesso tutto un mondo di cose vissute e glielo rivela in quella luce, in quel tocco di scrittura letteraria che lo fa vivere e piacere anche ai suoi lettori. Nel concludere queste note di presentazione, il mio augurio è che questo suo filone e stilema di scrittura, che lo collocano con una propria ben definita individualità artistica tra gli scrittori lariani, vengano maggiormente conosciuti e apprezzati e anche gratificati di notorietà e successo.

Mario Chiappini


NB.: Il romanzo Carpesino è pubblicato da “ Editrice Nuovi Autori ” - Milano







martedì 18 settembre 2012

L' altra montagna





Oreste Forno, nato a Berbenno di Valtellina nel 1951, è noto al pubblico per le sue esperienze alpinistiche sulle grandi montagne degli oltre 8000 della terra e per gli scritti che le hanno raccontate.
Scialpinista, fotografo, giornalista, pubblicista e socio accademico del Gruppo Italiano Scrittori di Montagna (GISM), Forno scrive attualmente su giornali e riviste specializzate del settore e tiene conferenze sull' alpinismo e la montagna.
Tra i suoi libri ( oltre una quindicina ) figurano: Sci oltre la pista ( Hoepli ), Sherpa conquistatori senza gloria ( Dall' Oglio ), Italia in un sentiero ( Hoepli ), Battistino Bonali, Grazie Montagna ( Grafica Sovico ), Lacrime sopra la neve ( Mountain Promotion ), Fiori di Ciliegio ( Bellavite Editore 2010 ), L’ altra montagna ( Bellavite Editore 2011 ).

Non sono uno specialista conoscitore dei libri di montagna, tuttavia, scorrendo cataloghi di titoli dedicati all’ argomento, non mi è capitato di vedere opere con il taglio particolare di quella di Forno. Già il titolo e soprattutto il sottotitolo e la dedica dicono proprio che si tratta di una novità nella letteratura di montagna.

Titolo: L’ altra montagna, non la montagna.

Sottotitolo: Quella che porta più in alto delle cime. Ora è tutto chiaro.

Dedica del libro: Alla montagna, che mi ha fatto toccare il cielo. Adesso è ancora più esplicito.

Quel ragazzino, un po’ ribaldo monello dalle mille risorse, che in Fiori di ciliegio era fedele a casa e chiesa non esiste più. Prima il lavoro all’ IBM Italia e poi all’ IBM Stati Uniti d’ America lo porteranno molto lontano non solo geograficamente ma anche spiritualmente, perso nel turbinio delle grandi opportunità di carriera da nuovo mondo, è il caso di dire, nelle molteplici occasioni più favorevoli e allettanti della vita. Ma viene il momento che la vita fa riflettere, che rende prevalente la consapevolezza sul vuoto e l’ insignificanza della propria situazione e, un po’ da figliol prodigo evangelico, decide per il ritorno in Italia. La grande passione di sempre per la montagna diventa una chiamata. La montagna lo chiama e lo chiama sempre più frequentemente e irresistibilmente fino a scoprire l’ altra montagna, quella che porta più in alto delle cime e fa toccare il cielo. Questa scoperta è solo un’ esperienza e una novità personale, perché la montagna fin dall’ antichità e presso tutte le culture è sempre stata il luogo della divinità, dove si poteva e ci si poteva incontrare con la divinità. La montagna era la santa montagna, quella che per Forno è l’ altra montagna.

Del libro di Forno sono state fatte tante pregevoli recensioni. Qualche giornale a tiratura nazionale vi ha dedicato pagine intere. Non è il caso che ne scriva una anch’ io, per altro, sono convinto, meno bella. Preferisco piuttosto esprimere qualche riflessione storico-speculativa su quella Bellezza, con la maiuscola, che lo ha portato più in alto delle cime e fare l’ affermazione che Dio è Bellezza e che la Bellezza è Dio, riassumendovi tutto il mio discorso.
Sulla prima affermazione nessuno può avere dubbi. Anche il non credente, se per un momento provasse ad ammettere l' esistenza di Dio, non potrebbe fare a meno di dire che Dio è bellezza, perché se così non fosse, vorrebbe dire che, per lo meno, gli manca un attributo e mancandogli anche un solo attributo, non sarebbe Dio. Sarebbe magari un essere più grande e più bello di altri, ma pur sempre finito e limitato da ciò che gli manca. Per definizione Dio è Dio se e soltanto se possiede tutti gli attributi e al grado sommo, infinito.

Riguardo alla seconda affermazione, " La bellezza è Dio ", chissà quanti si spaventerebbero a porla, frenati dall' idea di panteismo che è la prima cosa che viene alla mente e poi anche dal fatto che la bellezza che si vede nel creato e quella che l' uomo stesso crea è limitata. Direbbero subito che l'affermazione " Dio è bellezza " è vera, ma non può essere vero il suo rovesciamento. Per cui spesso si sente dire, si legge, si scrive solamente che " La bellezza canta Dio ". Questa frase, vera, è una versione moderna dei versetti 1-2 del salmo 19: " I cicli narrano la gloria di Dio e l' opera delle sue mani dichiara il firmamento ".
Per lo più, nel parlare comune, non si va oltre questa affermazione laudativa, non si riflette sulla bellezza. Non ci si chiede se l' affermazione “ La bellezza canta Dio ” sia sufficiente o riduttiva. Non si prende coscienza della reale portata estetica, etica di questa lode. La riflessione dei filosofi e dei teologi scolastici medioevali andava oltre l' affermazione che la bellezza canta Dio ed enunciavano il principio metafisico Ens et Pulchrum convertuntur, vale a dire L'Ente ( = Dio ) e il Bello sono la stessa cosa. Affermavano anche Bonum est diffusivum sui ( =  il Bene si diffonde al di fuori di sé ). Bonum è parola polivalente, che, come nella Bibbia, vuol dire sia bene che buono, bello, giusto, proporzionato, piacevole, utile, armonioso, senza difetti. La propria pienezza di Bene-Bello Dio la diffonde, per creazione, senza esserne necessitato, al di fuori di sé. Non può contenere solo in sé questa pienezza di Bene-Bello. Per amore e felicità la comunica. Contenerla sarebbe una limitazione e quindi una negazione del proprio infinito, del proprio essere Dio. A sua immagine e somiglianza anche una creatura felice, non può non comunicare all' esterno la propria felicità.
Dio è fonte del bello, della bellezza. I filosofi e i teologi scolastici medioevali non erano certo persone panteiste ( cioè che ritenevano che tutto fosse Dio ). Erano ben saldi sulla distinzione tra Dio e il creato. Il Bello della natura e anche il Bello prodotto dalle capacità date all' uomo da Dio hanno la loro scaturigine in Dio. Anche in questo caso l' Ente e il Bello, la Bellezza come origine sono la stessa cosa. Il creato e ogni suo elemento, per definizione non sono Dio, ma il suo imprint di bello è Dio. Il Bello in concreto, come esiste nell' uomo e nelle sue opere, in tutte le realtà concrete della natura, è sempre imprint di Dio, anche se l'uomo e le sue opere e tutte le realtà della natura non sono Dio, perché limitate, finite, mancanti di tutti quegli attributi che fanno sì che un dato essere sia Dio. Il bello, la bellezza, ogni espressione sono il sigillo, l' impronta di Dio. Pertanto dire che "La bellezza canta Dio" è affermazione vera, ma riduttiva.
Nella Bibbia buono, bene e bello appaiono collegati strettamente e non potrebbe essere diversamente, dato che la fonte è unica: Dio. Il vocabolo ebraico tob, tanto usato nel testo masoretico della Bibbia, vuol dire sia buono come aggettivo sia bene come sostantivo e sia ancora bello. Nella traduzione dei Settanta ( LXX ) tob è tradotto sia con agathòs = buono sia con kalòs = bello. Chi non ha presente che Gesù, il Buon Pastore, nel greco dei Settanta è " il Pastore Bello" ( Gv 10, 11 e 14: bello nel senso di unico, incomparabile, vero, giusto )? Nel greco dei Settanta ( LXX ) e del Nuovo Testamento kalòs è adoperato per qualificare i comportamenti dell' uomo. Le sue opere buone sono qualificate come belle.
Tanto per restare nel discorso della strettissima connessione biblica tra buono, bene, bello e bellezza, come non ricordare che quanto Dio compiva alla fine dei sei giorni, era visto come buono: " E Dio vide che era buono ( Gn 1, 4, 12, 18, 21, 25 ). Addirittura alla fine del sesto giorno è detto: " Dio vide tutto quello che aveva fatto, ed ecco, era molto buono " ( Gn 1, 31 ). Ciò che Dio crea è buono e bello perché realizza perfettamente il suo disegno.  L' etica e l' estetica appaiono inscindibili e non è possibile che sia diversamente perché la fonte è unica e la fonte è Dio. Il bello è anche morale. Non per niente gli uomini del Medioevo dicevano: " Ama la musica e non farai il male ". La bellezza della musica e di ogni altra arte e persona e cosa bella non possono non allontanare dal male, da progetti di male. Il bello dell' universo, la sua armonia, l' ordine, la proporzione ( che i Greci chiamano cosmo e che poi i traduttori greci introducono anche nella Bibbia ), l' uomo può viverli nella propria vita. L'estetica di Dio diventa così etica dell' uomo, l' arte cosmica di Dio diventa vita morale dell' uomo. Questo non è senza conseguenze pratiche. La bellezza restringe il campo del male, tanto spesso allargato da una visione manichea della vita e della storia. Amare il bello, la bellezza, qualunque espressione di bellezza, con amore che non sia dis-ordine, non può essere male. Questo è anche il senso dell' affermazione di Sant' Agostino " Ama e fa quello che vuoi ". Chi ama Dio, il bello di Dio, senza dis-ordine, può fare quello che vuole. Da tutto quello che vuole escluderà sempre ciò che è fuori del bello di Dio.
Perché dunque insistere sull' idea sbagliata che il bello creato, limitato, è solo un invito alla lode, solo un invito ad andare oltre per arrivare alla fonte? Il bello, la bellezza non sono solo apparenza: il bello esiste ed è qualità, è attributo divino anche nel creato. Non c' è bisogno di non apprezzarlo, non c’ è necessità del contemptus mundi et sui ipsius ( = disprezzo del mondo e di se stesso ), per aspirare all' espressione massima del bello che è Dio. Dio, certamente, non ci ha chiamati solo ad aspirare, ma anche a vivere. La via della sola o della prevalente negazione è manichea, pur ammantandosi di ascetismo. Questa espressione creata, limitata, divina, del bello, della bellezza è già ascesi, è già mistica e partecipazione di Dio. Non è necessaria un' ascetica della negazione per salire, ma un' adesione del bello per essere già comunione con Dio, vita in Dio, che porta con sé esclusione del male, conseguimento di perfezionamento nel bello. Tutto il bello è manifestazione di Dio e si può davvero fondare la prova dell' esistenza di Dio e tutta la teologia dogmatica e morale sul bello, tornando a recuperare, nel sentire e nel vivere, il legame stabilito dai Medioevali Ens et Pulchrum convertuntur. Dio e il bello sono la stessa cosa, al di là della precarietà e della limitatezza della vita dell’ uomo.
La Bellezza de L' altra montagna, scoperta, raggiunta nelle faticose e spesso rischiose ascesi delle montagne, è questa.
Il ragazzino dei Fiori di ciliegio, un po’ ribaldo monello dalle mille risorse, partito per la tangente, ha chiuso il cerchio, è tornato a casa, nella casa della Bellezza.



















giovedì 2 agosto 2012

La donna che leggeva il mare

Con piacere presento la prima edizione, da me curata, della particolare fiaba poetica La donna che leggeva il mare, di Gioia Calcagnolo, autrice non nuova a questa tipologia di creazioni che si situano tra realtà e fantasia. La realtà si fa fantasia, diventando difficile riconoscere questa genesi, bruciata com’ è in poesia.


La Donna che leggeva il mare è una particolare fiaba poetica, che si svolge di poesia in poesia. Vi si sente il ricordo, il dolore, la nostalgia, il pianto dell’ amore non amato.  La donna che leggeva il mare  vorrebbe avere una chiamata all’ amore, ad amare e ad essere riamata.  Ma, pur soffrendone, non può rispondere all’ amore di qualcuno, perché “ Non c’ è mai  abbastanza mare negli occhi di chi ama “. Il mare è metafora della vita e dell’ amore che va oltre, che va verso l’ incontro nelle profondità dei sentimenti veri e gratificanti, nelle sfere più alte dove diventa quiete e appagamento. È solo lì che potrebbe corrispondere e sentire che l’ amore è amato. Questo però  non si realizza e allora invece del canto, ne resta solo il lamento e il patimento.

giovedì 17 maggio 2012

Poesia e solidarietà



La nuova raccolta di Anna Rocca, poetessa italiana che vive periodi di tempo a Capo Verde, nell’ isola di Sao Vicente, si intitola TUT DRET. Nella lingua dell' arcipelago capoverdiano significa TUTTO BENE, una formula di risposta e di saluto. Pur nascendo come espressione di poesia, si lega a un progetto di solidarietà, esplicitamente dichiarato in fondo al volume: " A testimonianza del nostro amore per questa terra vogliamo offrire ai bambini meno fortunati di Capo Verde il ricavato della vendita di "tut dret" affinché possano ricordare con un sorriso la propria infanzia".
La poesia di tut dret è la poesia di un' esteta. Così si sente e si definisce l' autrice nella poesia “ Bicicletta ”. Così la percepisce il lettore.
Poesia di un' esteta con un grande cuore, un' acuta sensibilità e animo e occhioni di bambina piena di capacità di stupore.
Qualsiasi cosa colpisce e intenerisce i suoi occhi e il suo cuore di esteta: persone, cose, forme,  colori, aria, suoni, vento, movenze, distanza, situazioni e abitudini di vita, sperdutezza infinita nell' oceano. Tutto è come se stessa e in se stessa. La sua poesia non è espressione letteraria, è modo di sentire la vita. E' maniera di soffrire la vita, perché questo sentire è inarrivabile agli altri e perché gli altri sono inarrivabili al suo sentire. Per quanto riguarda l' anima della sua poesia, Anna Rocca è una decadente di fine Ottocento-primi Novecento. Nel grande decadentismo, la sensazione era lo strumento di conoscenza di tutto ciò che esiste. La sensazione era la metafisica del percepire, dell' andare oltre, dell' afferrare l' essenza e di sprofondarvisi. Del decadentismo le sue sensazioni non hanno le esplicitazioni di immagini, contenuti e linguaggi. Tutto è trattenuto nella normalità delle espressioni e descrizioni comuni. Tuttavia al di là di questo si avverte che il suo sentire è un continuo andare oltre, è un conoscere, è un vivere e un far comunione con tutto. Persone, cose davvero sono se stessa e in se stessa.
Chi vuol vivere emozioni, conoscenze del mondo oltre la superficie, non si fermi a pensare, provi a lasciarsi andare alla letture delle sue poesie, senza pensare, soltanto seguendo a occhi socchiusi e abbandonandosi a pause di silenzi. La poesia della poetessa di Dongo, infatti, pur partendo dalla realtà ed essendo piena della realtà, è poesia del silenzio, dell' anima in ascolto, degli occhi sgranati di stupore.


TUT DRET
Nuova Editrice Delta , Prima edizione, 2004, Gravedona ( Como )

domenica 18 marzo 2012

PRODUZIONE - NOTORIETA’ E COMUNICAZIONE - VISIBILITA’

Ritorna frequentemente il dibattito sul futuro del libro, sulla lettura del libro, sui canali di uscita del libro e delle opere d’ arte. Certamente la biblioteca digitale alla quale lavorano Google, Amazon, Apple e altri grandi players costituisce da una parte un accesso facilitato al libro e alla lettura, una sua salvaguardia nel tempo e dall’ altra un grande business. Ma tutto questo non ha ancora alla base l’ editoria elettronica ( solo in piccolissima parte ), ma quella tradizionale. L’ editoria elettronica, dai dati disponibili, non cresce ancora in modo adeguato. E’ frenata anche dagli interessi degli operatori tradizionali. Tuttavia c’ è, convive come i libri manoscritti hanno continuato almeno per tre secoli a convivere con la stampa, una volta inventati i caratteri mobili di Gutenberg. Sono due possibilità. Il futuro ci dirà come sarà lo svolgimento. Per ora possiamo pensare che succederà quello che è accaduto con l’ informatica. Ancora all’ inizio degli anni ottanta, a livello di massa, si faceva fatica a vederne l’ applicazione pratica ai vari settori della vita e della società. Oggi si fa una grande fatica a immaginare come si potrebbe fare a meno dell’ informatica. Si può prevedere che l’ e-commerce imporrà il digitale come la necessità di diffusione del libro impose i caratteri mobili di Gutenberg. Possiamo chiederci se l’ editoria elettronica sarà la morte dei canali tradizionali del libro, della lettura e se la vetrina on line sarà la fine di mostre, esposizioni, musei. Questo non si vede all’ orizzonte. Per ora è convivenza e ancora prevalenza dell’ editoria e delle sedi tradizionali. Visto che la stampa digitale si va diffondendo, in particolare possiamo domandarci: ma quali sono i canali della letteratura oggi? Internet è il suo nuovo canale? A giudicare dal proliferare degli editori on line, dai siti che si creano i singoli scrittori o gruppi di scrittori, famosi e non famosi, ma soprattutto dalle adesioni di poeti, narratori in cerca di una via di uscita, sembrerebbe di sì. Parrebbe di poter dire che finalmente si è scoperta l’ America. Va o resta in editoria, in vetrina on line solo chi non si rassegna ad essere escluso da quella cartacea e dalle sedi deputate consuete. Ed è naturale perché Internet non può dare né la produzione né la notorietà. Può essere visibilità ( spesso limitata solo a chi accede ed effimera ) e comunicazione.
La produzione culturale, letteraria e artistica ( non il fenomeno di massa “ del tutti che scrivono e fanno arte ”), con i relativi successi o insuccessi, notorietà o anonimato, è banale dirlo, passa attraverso canali tradizionali: la persona che si forma, le università, le riviste specializzate, le case editrici, le librerie, i convegni, gli istituti di ricerca, gli storici, i critici militanti, gli incontri nei luoghi tipici a cominciare dai Caffè sette - ottocenteschi agli equivalenti di oggi, gli scambi nazionali e internazionali tra artisti e persone di cultura, i viaggi e i soggiorni in culture differenti. Questa può essere la via del successo e della notorietà e di durata nel tempo. Il resto appartiene alla visibilità, alla comunicazione, al commercio, all’ utilità innegabile e grandissima, ai fenomeni di massa e anche molto al salotto delle chiacchiere, alla vetrina effimera, alla stampa virtuale più del fumo che dell’ arrosto.
Se diamo uno sguardo anche estremamente superficiale alla letteratura e all’ arte italiana dai primi anni del Novecento in poi, troviamo che i movimenti più fervidi di idee e di vita non si sono rinchiusi nei confini nazionali e si sono intrecciati alle arti e alla cultura in generale. Pensiamo ai Futuristi, alla loro presenza attiva in Francia, Germania, Russia, Inghilterra, Spagna, Brasile, Argentina e al loro intreccio con la musica, il teatro, il cinema, la pittura e scultura e con altri movimenti di pensiero e di estetiche. Consideriamo soprattutto la promozione del loro movimento che perseguivano attraverso le rappresentazioni teatrali, le mostre di pittura a Parigi, Londra, Mosca, le riviste specializzate, la critica, le conferenze, le lezioni in ambito universitario. La loro notorietà veniva da questo crogiolo e scontro di idee, produzione, esperienze a livello nazionale e internazionale. Una strada questa che sarà battuta anche dai neorealisti italiani, aiutati parecchio a percorrerla dal grande cinema neorealista.
Anche prescindendo da movimenti come Futurismo, Neorealismo, riferiamoci pure a singoli pensatori, scrittori e artisti, a quanto si sono dati da fare per una notorietà internazionale o addirittura universale. Ricordiamo quanto hanno operato intensamente verso l’ estero Croce, Pirandello, D’ Annunzio, Svevo, Sciascia, Calvino, Eco, per una loro immagine, affermazione e notorietà nel mondo. Il successo durevole nel tempo e la notorietà, oltre il campanile, sono ancora legati saldamente a questi canali tradizionali e non può essere diversamente. Non si negano gli straordinari vantaggi pratici della visibilità, della comunicazione e informazione Internet e dell’ eBook, dei Kindle e degli iPad ed è giusto e legittimo frequentare il canale virtuale che attraversa il mondo, affidargli un primo affacciarsi all’ esperienza letteraria e artistica in generale, ma da questo mezzo si possono avere visibilità di breve durata e comunicazione limitata a fini pratici. Chi sente di essere scrittore, poeta, pensatore, artista, e magari di volere e potere affermarsi oltre che nella propria nazione, anche al di fuori dei confini nazionali, avrà bisogno sicuramente di gettare il proprio sguardo e affidare la propria produzione ai luoghi di sempre. In questo preciso senso il futuro è il futuro dei canali tradizionali. L’ uomo ha bisogno di presenza, di tangibilità, di materialità e non di virtualità.




giovedì 15 dicembre 2011

LA TEORIA DEI COLORI



 Andy Warhol, Gothe, 1982 


Johann Heinrich Wilhelm Tischbein, Goethe, 1786







Un argomento di cui non si è mai finito di interessarsi, di parlare, di discutere, di studiare, di sperimentare è quello dei colori. Fa parte della vita, dell’ esperienza di tutti, a cominciare dall’ uomo della preistoria, che usava i colori nelle sue pitture, non si sa come, sulle pareti rocciose, nel buio profondo delle caverne e comunicava, forse propiziava, pregava, adorava. I colori Interessano molte professioni e usi, arti e mestieri, costumi e mode, la comunicazione e l’ estetica. Chiamano in causa tante scienze, matematica, fisica, elettronica, chimica, psicologia, ecc. Si collocano tra oggettività e soggettività. Coinvolgono appassionatamente nello studio anche studiosi che non dovrebbero essere propriamente tra gli addetti ai lavori. Che se ne interessi Isaac Newton ( 1642 - 1727 ) è naturale, ma un po’ meno che se ne occupi Johann Wolfgang Goethe, uno dei cinque sommi poeti dell’ occidente insieme a Omero, Virgilio, Dante, Shakespeare, definito da George Eliot ( 1819 - 1880 ), secondo la concezione rinascimentale,  l’ ultimo uomo universale a camminare sulla terra.

Goethe ( 1749 - 1832 ), uomo di transizione tra illuminismo e romanticismo o forse meglio filosofo e scrittore chiave della transizione dall’ illuminismo al romanticismo, non conosceva confini tra i saperi. Era un immenso appassionato di lingue, di arti e di scienze: mineralogia, anatomia, osteologia, geologia,  botanica, ottica, ecc. Un minerale, la goethite, porta il suo nome, ugualmente un cratere su Mercurio. Gli fu bocciata la  tesi che avrebbe dovuto conferirgli il titolo di dottore in legge ( doctor juris  ) come il padre, ma le sue idee di solo licenziato in diritto ( licentiatus juris ) sulle leggi che devono nascere dalla cultura di un popolo e dalla sua terra  fecero strada come fecero strada arrivando  fino a Charles  Robert  Darwin ( 1809 - 1882 ) quelle sull’ evoluzione. Goethe asserisce di aver dato più importanza nella sua vita alle scienze e specialmente alla teoria sui colori che alle opere letterarie. Testimoniano questo interesse le opere La teoria sui suoni  ( 1810 ), il trattato sull’ ottica, La metamorfosi delle piante ( 1790 ), lo scritto sulla matematica, ecc. Ciò non gli impedisce di lavorare per sessant’ anni al Faust ( la prima parte fu pubblicata nel 1808; l’ opera completa soltanto postuma ) in cui rispecchia, per tanti tratti, se stesso.

Non gli interessa l’ esercizio della professione di avvocato che esercita per quattro anni né quella di praticante nella corte imperiale di giustizia o quella di ministro o di consigliere ministeriale per gli affari militari, per la viabilità, per le miniere, la pubblica amministrazione, la sovraintendenza ai musei o il titolo nobiliare conferitogli dall’ imperatore Giuseppe II. Probabilmente si sente soffocare e nel 1786, come per fuggire da tutto questo,  intraprende i due anni di viaggi in Italia, seguendo le orme del padre. Questa vita era troppo complicata per un uomo che, conosciuto e ammirato da nobildonne, sposerà una semplice fioraia.  Anche la sua città natale, Francoforte sul Meno, era un « nidus, buono a covarci uccellini ma in senso figurato, spelunca, un tristo paesucolo. Dio ci scampi da tanta miseria. Amen ». Non ne può più, ha bisogno di respirare aria libera in un paese segnato dalla bellezza e dalla grandezza del passato e così raggiunge l’ Italia.

Il tipico cosmopolitismo del Settecento, che non era proprio della Germania di allora divisa in oltre duemila tra dazi e dogane e in trecento staterelli assoluti, era anche cosmopolitismo delle conoscenze e dei viaggi. Goethe, scrittore tra l’ altro di viaggi, era pure viaggiatore della mente tra arti e scienza. Portava nella scienza la passione dell’ illuminismo e la mistica del romanticismo. All’ epoca non era inusuale che un poeta e scrittore si dedicasse con ardore alle scienze e un grande matematico e scienziato coltivasse la poesia come, per fare un esempio, il nostro Lorenzo Mascheroni ( 1750 - 1800 ), a cui Vincenzo Monti ( 1754 - 1828 ) dedica l’ incompiuto poema In morte di Lorenzo Mascheroni.

A Goethe non poteva bastare il linguaggio della parola, dove era sovrano, ma occorreva anche quello del pensiero, della filosofia, della teologia, quello della musica e della matematica, dell’ immagine delle arti, dei suoni, dei colori e allora ecco la  grande Teoria dei colori ( 1810 ), a cui dedica circa vent’anni di studi ( 1790 - 1810 ), di osservazioni ed esperimenti continui. In fondo Goethe era anche capace disegnatore e pittore.

Il vero retroterra della Teoria dei colori era questa passione illuminista e la mistica protoromantica dello Sturm und Drang ( Tempesta e Assalto o Impeto e Azione ), anche se la motivazione contingente era la sua posizione ostile alla teoria sui colori di  Isaac Newton.

L’ opera partecipa sia dell’ età della Ragione, dei Lumi, dello spirito, delle finalità, delle metodologie illuministe sia della temperie protoromantica. Impressionante la sistematicità, le suddivisioni, le descrizioni particolareggiate, che testimoniano la volontà di padroneggiare il fenomeno cromatico tanto complesso ed essere esaustiva sia sul piano teoretico che pratico.  La temperie protoromantica si sente bene fin dalla prefazione dove afferma: “ I colori sono azioni della luce, azioni e passioni ” ( La teoria dei colori, il Saggiatore Tascabili, Milano 2009, p. 5 ). E ancora di più si avverte nella sezione sesta intitolata “ Azione sensibile e morale del colore ”, fondamentale e attualissima: “ 758. … esso esercita un’ azione, in particolare sul senso della vista, a cui esso in maniera evidente appartiene e, per suo tramite, sull’ anima nelle sue più generali manifestazioni elementari…” ( Op. cit., Sezione sesta, p.189 ). La trattazione, una vera enciclopedia sui colori, si struttura in sei sezioni, ognuna di numerosi capitoli. I grandi filosofi e artisti del Novecento dimostrano di conoscerla bene: Wittgestein, Kandinskij, Klee, Albers, Andy Warhol, che nel 1982 dipinge Goethe, riprendendolo dal famoso ritratto Goethe in the Roman Campagna ( 1786 ) di Johann Heinrich Wilhelm Tischbein, pittore neoclassico ( 1751 - 1829 ) e dando un saggio dell’ ispirazione e della rinnovata creatività che si può trarre dalle teorie del  genio tedesco. Dopo un non lungo periodo di oscuramento, l’ opera non ha mai cessato di essere attiva e di sollecitare la pratica dei pittori.

Venendo al punto essenziale, c’ è da domandarsi perché tanta ostilità alla teoria dei colori di Newton, vista come un’ antica rocca, una bastiglia da radere al suolo, dimostrandone l’ inconsistenza? La teoria di Newton definita ironicamente “ ottava meraviglia del mondo “, in realtà  è “… un’ antichità che minaccia il crollo e, senza cerimonie, cominciamo a smantellarla a partire dal comignolo e dal tetto, cosicché il sole finalmente entri a far luce in quel nido di topi e di civette, rivelando alla stupito viandante l’ incoerente e labirintica costruzione e, quindi, ancora quanto vi è d’ imposto dalle necessità, quanto vi è di casuale, d’ intenzionalmente artificiale, di malamente raccomodato “ ( Op. cit., p. 9 ). E’ fondamentale per comprendere le ragioni dell’ opposizione la Prefazione all’ opera. Tra luce e colori vi è un rapporto strettissimo, l’ una e gli altri appartengono all’ intera natura ed è proprio questa che, tramite loro, si svela al senso della vista e agli altri sensi, cogliendo un infinitamente vivente. E’ la natura a parlare, a rivelare la propria vita, le proprie connessioni. Parla a se stessa e a noi in mille manifestazioni. Noi percepiamo questi universali movimenti e determinazioni. Nella Natura, con l’ iniziale maiuscola, si percepisce il  Goethe panteista spinoziano; si avverte la centralità dei sensi nell’ apprendere i fenomeni naturali e l’ influsso della filosofia di Immanuel Kant ( 1724 - 1804 ) dove i fenomeni rinviano al noumeno ( Op. cit., Sezione quinta, p. 183 ). E allora come può ridursi ad accettare il meccanicismo corpuscolare newtoniano, la pura fisica e matematica dei colori e  la luce, che, passando attraverso un prisma, è scomposta nei vari colori dello spettro dal rosso al violetto proiettati sul muro e l’ esperimento al contrario, vale a dire  l’ interposizione di un prisma tra l’ occhio e il muro che restituisce la luce bianca? Anzi è proprio quest’ ultimo a scatenare il suo rifiuto, a convincerlo che la teoria di Newton è totalmente sbagliata. La natura non è mai morta o muta. L’ intento dichiarato dell’ opera è di applicare queste universali designazioni e linguaggi della Natura alla teoria dei colori. Da questo pensiero sensista e da questa percezione protoromantica dell’ infinitamente vivente della natura nasce tutta l’ ostilità a Newton e soprattutto all’ arrogante scuola newtoniana, che, a suo modo di vedere, non comprendendo la natura, ha limitato finora la libera visione delle manifestazioni dei colori , ha negato la storia dei colori. “… era del tutto impossibile scrivere una storia della teoria dei colori o anche soltanto prepararla, fino a quando si reggeva la teoria di Newton ( Op. cit., p. 9 ). Da qui il suo fastidio e sdegno contro i newtoniani, che guardano con presunzione a quanti nell’ antichità e nel medioevo percorsero la giusta via lasciandoci osservazioni  e considerazioni che noi non “ potremmo meglio comporre, né sapremmo più esattamente  comprendere “ ( Op. cit., p. 10 ).

Da questo nasce la sua appassionata deplorazione dei metodi della matematica applicati alla teoria dei colori che le hanno recato parecchi danni:

725. “ La teoria dei colori ne ha particolarmente patito, e i suoi progressi sono stati notevolmente ritardati dall’ essere stata assimilata al resto dell’ ottica, che non può fare a meno della geometria “ ( Op. cit., Sezione quinta, p. 179 ).

 Ne viene individuato il vero colpevole, Newton:  

726.“ A ciò si deve aggiungere che un grande matematico si è fatta un’ idea completamente erronea dell’ origine fisica della luce, legittimando per lungo tempo coi suoi grandi meriti di geometra, dinanzi a un mondo sempre prigioniero dei pregiudizi, gli errori da lui commessi come scienziato della natura “.

727. “ L’ autore del presente lavoro ha cercato di tenere la teoria dei colori ben distinta dalla matematica… “ ( Op. cit., Sezione quinta, p. 179 ).

Ecco ciò che si augura l’ autore:

746. “ Augureremmo al sapere , alla scienza, all’ industria e all’ arte, di ricondurre, quando fosse possibile, il bel capitolo  della teoria dei colori dalla limitatezza e dall’ isolamento atomistici in cui è stato finora confinato, al flusso dinamico della vita e dell’ azione, di cui il nostro tempo gode “ ( Op. cit., Sezione quinta, p. 185 ).

Questa visione della natura, universale, viva  e palpitante, piena di ardore e sentimento è più propria di un filosofo che di uno scienziato, appartiene al protoromanticismo inglese e al romanticismo e non alla seconda metà del Seicento, quando Newton sperimenta e descrive la sua teoria ( 1672 ). L’ attacco a Newton, di cui ha ripetuto tutti gli esperimenti, è un vero e spiacevole infortunio; Goethe è vittima di se stesso, cioè della sua cultura protoromantica e della sua sensibilità romantica. Per la scienza resta altamente valida la teoria di Newton. Tuttavia non è da sottovalutare la grande interazione tra luce, materia e colori che il genio di Francoforte sul Meno indagò a fondo. Per la pratica pittorica e per molte professioni  la teoria di Goethe è una patrimonio carico di idee, di suggerimenti e di suggestioni. Uno degli apporti originali di Goethe è nell’ importanza data all’ occhio, che indurrà poi il filosofo Arthur Schopenhauer ( 1788 - 1861 )  a scrivere il trattato La vista e i colori ( 1816 ). Se la fisica ci dice che ad ogni lunghezza d’ onda è associabile un colore, la scienza dell’ occhio ci spiega che a determinati colori non è associabile una lunghezza d’ onda, pertanto molte osservazioni di Goethe si inquadrano in questa formazione di colori che sono somma dell’ apparato cervello + occhio, l’ inverso dei colori artificiali dell’ RGB della televisione. Goethe porta  nella sua trattazione tutto il peso della soggettività, dell’ individualità, com’ è naturale all’ estetica protoromantica e romantica. Personalizza quella che sembra aridità della scienza, ma che è soltanto il rigore metodologico per arrivare alla verità, vale a dire a sapere esattamente come stanno le cose. Cerca  nella sua personale visione di indagare sulla luce e i colori fisici, ma anche su quelli soggettivi e sui loro aspetti emozionali ed estetici,  che hanno riempito i suoi occhi e il suo animo sotto ogni forma, presentazione e produzione. Vero o leggenda che sia che in punto di morte le sue ultime parole siano state “ più luce ” ( Mehr licht ), resta il fatto che il suo spirito era certamente bramoso di conoscere a fondo l’ interazione luce, materia e colori e che la sua vita si era aperta e si chiudeva nell’ immane festa della luce e dei colori, della bellezza manifesta nella natura e in ogni specie di sapere. Per comprendere meglio  La teoria dei colori, l’ importanza e il metodo di lavoro di Goethe vale la pena riportare qui per intero la bella Conclusione dell’ opera:


“ CONCLUSIONE

In procinto di licenziare, in certo modo estemporaneamente, come semplice abbozzo, il lavoro che mi ha così a lungo occupato, e sfo­gliandone le pagine già pronte, mi tornano alla mente le parole di un autore scrupoloso, secondo le quali egli avrebbe desiderato veder stampate in una prima stesura le sue opere per poi rimet­tersi con freschezza all' opera, in quanto nella stampa i difetti ci vengono incontro più chiaramente che nella più nitida calligrafia.

In me questo desiderio doveva nascere tanto più vivo, in quanto non potei rivedere prima della stampa una copia del tutto in ordine, cadendo la successiva redazione di queste pagine in un' epoca che rendeva impossibile un sereno raccoglimento.

 Quante cose dunque, di cui molto si trova già nell' introduzione, avrei da dire ai miei lettori! Mi si vorrà comunque permettere, nella storia della teoria dei colori, di menzionare anche le mie fati­che e il destino che hanno subito.

Forse non è qui fuori posto almeno una considerazione, la risposta alla domanda: cosa può produrre e cagionare a favore della scienza chi non è nella condizione di dedicare a essa la sua vita intera? Cosa può fare, ospite in casa d' altri, a vantaggio del pro­prietario?


Se si considera l' arte nel senso più alto, si potrebbe desiderare che solo dei maestri vi si dedichino, che gli allievi vengano esa­minati nella maniera più severa, e che i dilettanti si accontentino di un reverente accostamento a essa. Infatti, l' opera d' arte deve scaturire dal genio, l'artista deve chiamare in vita contenuto e forma dalle profondità del proprio essere, deve comportarsi da dominatore nei confronti della materia e fare uso degli influssi esterni solo per la propria formazione.


Ma come già l' artista, per diverse ragioni, deve onorare il di­lettante, nelle scienze si dà tanto più il caso che egli possa ren­dere soddisfacenti e utili servigi. Le scienze poggiano, molto più che l' arte, sull' esperienza, e nel trattare con questa molti sono abili. Ciò che appartiene alla scienza riceve contributi da più parti, e non può fare a meno di più mani e di più teste. Il sapere si può trasmettere, i suoi tesori possono venire ereditati e quanto viene acquisito da qualcuno viene fatto proprio da altri. Non vi è dunque chi non possa offrire il suo contributo alle scienze. Di quante cose non siamo debitori al caso, alla pratica, all' atten­zione di un istante? Tutte le nature dotate di una sensibilità fe­lice, le donne, i bambini, sono capaci di comunicarci osservazioni vivaci e pertinenti.


Non si può pretendere da chi si propone di rendere qualche servigio alla scienza che egli dedichi a essa tutta la vita, che egli l' abbracci e la percorra per intero, richiesta considerevole anche per gli iniziati. Si esamini la storia delle scienze in generale, so­prattutto di quelle naturali, e si troverà che, in singoli ambiti, molti notevoli risultati furono ottenuti da individui singoli, spesso da semplici profani.


Dovunque  l' inclinazione,  il  caso  o  le  circostanze  conducano l' uomo, qualunque fenomeno attragga in particolare la sua atten­zione, ne ottenga la partecipazione, lo prenda, lo occupi, ciò av­verrà sempre a vantaggio della scienza, perché ogni nuovo nesso che venga alla luce, ogni nuovo modo di trattarlo — anche quanto è inadeguato, anche l' errore — sono utili o stimolanti e non vanne perduti per il futuro.


In questo senso l'autore può guardare con una certa tranquil­lità al suo lavoro. Da questa considerazione egli può cioè ricavare il coraggio necessario per quanto rimane da fare e quindi, non con­tento di sé ma pure intimamente sereno, raccomanda a un mondo e a una posterità compartecipi l' opera compiuta e ciò che ancora resta da compiere.


Multi pertransibunt et augebitur scientia  ( Op. cit., pp. 215 - 217 ) “ .