martedì 15 novembre 2011

NOVECENTO UN SECOLO DA RIPENSARE

A distanza di quasi dodici anni dal termine, si comprende sempre più che il Novecento poetico italiano è un secolo da ripensare.

All’ insegna delle “ parole in libertà ” e di tutti gli sperimentalismi, ha fatto uscire il poeta dalla sua torre d’ avorio e ha aperto la poesia a tutto e a tutti. E’ una cosa positiva e su larga scala. Non ci sono più ostacoli all’ accesso poetico. Da qui tuttavia nasce anche un equivoco. Chi vi si dedica non ha più a che fare ( o almeno questa è l’ impressione di moltissimi non proprio del "  mestiere " ) con problemi di lingua, con tutto l’ armamentario di scelte lessicali e linguistiche, di forme, di connotazioni, di generi, di componimenti poetici, di metrica, strofe, versi, numeri di sillabe, rime, accenti ritmici, pause, cesure, figure retoriche, ecc. Si pensa che la creatività non abbia più bisogno di regole. Finalmente la libertà, che è anche il grido del pittore, dello scultore dopo l’ impressionismo francese. Finalmente la libertà, è vero, ma si può aggiungere, per chi l’ arte ce l’ ha. La libertà è propria di chi è veramente artista ed è direttamente proporzionale al grado dell’ essere artista. Per gli altri la creduta libertà è solo risottomissione a nuove dogmatiche o mode.

Essere liberi da elementi formali non vuol dire essere automaticamente poeti e artisti. Personalmente penso che il sentimento della poesia e dell’ arte l’ abbiamo tutti o quasi tutti, ma non tutti possediamo le capacità, i mezzi espressivi per rendere all’ esterno in quelle forme e linguaggi che chiamiamo poesia e arte. Molti equivoci nascono da qui. Non si distingue il sentimento, il pensiero di poesia e arte dall’ estrinsecazione della poesia e dell’ arte. Qualcuno giustamente ha detto che spesso un pensiero di poesia lo scambiamo per poesia.

Perché dunque ripensare il Novecento poetico italiano? Perché le apparenze ingannano. Mentre le “ parole in libertà ” e gli sperimentalismi dànno l’ impressione  di un secolo facile in poesia,  comunicano la sensazione ingannevole che ci sia stato un allentamento, un abbandono un po’ di tutto, a favore del nuovo verbo, leggendo, invece, con attenzione e verifica, i poeti più significativi e importanti, molto di tutto questo non risulta vero. La creatività poetica non si è sbrigliata totalmente, nonostante il grande numero di estetiche, che affermano  tutto e il contrario di tutto, proposte nella prima metà del secolo, distinzioni tra poesia e non poesia, tra poesia e struttura, tra poesia e letteratura, a dispetto dell’ estetizzazione della politica, dell’ azione, della violenza, della guerra e della politicizzazione e ideologizzazione della scrittura e delle arti. Ha allentato a volte le briglie, ma non ogni freno. Il cavallo dell’ immaginazione, della fantasia creativa ha continuato a fare i conti con la lingua e i linguaggi, con una certa prosodia, perfino con la versificazione. Si è via via superato l’ estetica dell’ intuizione individuale e del frammento lirico per andare verso un ricupero degli aspetti stilistici, tecnico-formali. Non è per nulla un secolo facile.

Ancora di più e meglio si può capire che il Novecento poetico italiano non è un secolo facile se ci si addentra nella lettura e nello studio delle traduzioni che tutti i principali poeti italiani hanno affrontato, prima ancora che per commissione editoriale, per un bisogno di incontro, di rapporti di conoscenza, di arricchimenti di registri linguistico-poetici, di scambi e prestiti, di distruzioni e ricostruzioni sintattiche, per una necessità di entrare in dialogo, in confronto con poeti di altra lingua, di misurarsi con tutti i problemi che comporta la restituzione del poeta straniero nella propria lingua e per approfondire il senso e l’ arte del tradurre. E allora si vede che non tutti i vecchi strumenti del poeta sono andati in soffitta. Non di raro hanno tratto nuova linfa dagli studi linguistici e dalle nuove estetiche del secolo. E’ davvero impressionante rendersi conto di quanti e quali poeti, anche solamente a partire da Quasimodo fino al termine del secolo e spesso da quante lingue ( classiche e moderne ) ognuno ha tradotto e come si sono posti il problema di sempre della lingua e dei linguaggi, di come tradurre per non tradire, di restituire e non perdere la fisionomia originale del poeta tradotto, di ricrearlo e non snaturarlo. Tutto questo ha comportato immensa cura per la lingua, per le forme del linguaggio e anche per l’ aspetto, perfino per i versi, le rime e le assonanze, per la resa dell’ alessandrino francese, per le sonorità e toni , per gli accenti, la musicalità e le cesure e le invenzioni personali in cui renderli. Tutto il grande fervore fiorentino per le traduzioni degli anni Trenta - Quaranta, tutta l’ accesa passione di esimi studiosi, scrittori, poeti, dopo la grande guerra, per questo lavoro, che ha accompagnato le varie stagioni poetiche, fanno molto riflettere. Un secolo difficile, severo su questo versante. E’ inutile farne i nomi, perché il secolo ne è costellato in modo clamoroso. Oltre al grandissimo beneficio di sprovincializzazione, di europeizzazione, di internazionalizzazione ricavato dalla poesia italiana ad opera dei poeti nostrani traduttori, si è aperta in questo modo la grande e varia cultura poetica eminente delle altre nazioni all’ Italia, provocando un suo travaso speculare nelle lingue e culture di molti altri stati. Il rinnovamento, l’ europeizzazione, l’ internazionalizzazione non sono venuti dagli infiniti proclami e spesso pomposi vaniloqui della prima metà del secolo, ma dal duro lavoro degli addetti. Ha vinto l’ apertura culturale e linguistica dei nostri migliori poeti sull’ ingannevole libertà facile, traghettando le loro semantiche, lingua e poesia nel duemila a nostro stimolo e indicazione.